Qui. Il rumore si fa suono se solo fai attenzione. Lo so che sei catapultato a migliaia di chilometri da casa, trasferito volontariamente da treno a nave ad autobus a taxi, e consegnato infine come un pacco ammaccato al tuo destino, ma devi sforzarti di non mandare tutto al diavolo. La Repubblica Turca sorge esattamente ai tuoi piedi, come un vasto spazio di tensione, montagne, felicità e deserti. La lingua, questo parlare musicale la cui grafia e struttura sintattica sono state sistematizzate e imposte per decreto dal Padre dei Turchi, Mustafa Kemal, e le cui parole emergono da secoli di scambi tra arabo, persiano e ottomano, questa lingua in cui sei immerso, devi impararla. E devi cominciare subito. Come dice un vecchio proverbio turco: “Su akar yatağını bulur”, l’acqua che scorre trova il suo corso. Perciò, inizia a scorrere. Solo adattando il tuo essere dentro e fuori, assorbendo e facendoti assorbire, puoi restare te, un te nuovo, ancora sconosciuto, che si fa lentamente, nel tempo che ci vuole per imparare una lingua nuova. Lasciati andare e fatti forza, apriti e cerca, fluisci.
Come le barche nel Bosforo. Un’incessante processione di pellegrini nautici, di tutte le fatte e misure, veloci come il carico o gli ordini impongono, dirette ai porti o agli oceani. Ogni volta che getti lo sguardo su questa lingua di mare fra due continenti resti impressionato dalla folla che la solca. Una piccolissima barchetta da pesca affronta gigantesche petroliere, per fornire pesce alla sua famiglia di Fathi. Ondeggia lentamente contro le correnti del Bosforo, una corta bandiera turca stirata dal vento, pochi strumenti del mestiere e lo sguardo che da lontano scruta la costa. A neanche mezzo chilometro, il porto commerciale di Istanbul, vicino Kadikoy, è in piena attività. Le braccia meccaniche smistano container da 200 tonnellate, ricolme di merci cinesi. La ferita del porto qui è uno squarcio dove passano patrimoni e imperi. Proprio da quella banchina centinaia di storie hanno inizio, e le guardo accadere mentre il battello mi porta a Kabatas, ancora straniero e frastornato.
Girare solo per Istanbul ti fa sentire insignificante. E potente. L’intera città cospira per farti smarrire, lasciandoti credere che sei tu a gestire la partita. Tutto passa di qui. E ti travolge. La contraddizione insanabile è la cifra della vita di Istanbul. Da Taxim square, una delle piazze più importanti e frequentate della parte europea, parte Istiklal caddesi, strada pedonale tra le più ricche, con le grandi marche, gli alberghi importanti, e centro caldo dell’economia minuta, cianfrusaglie e cibo. Certe volte è talmente affollata che non cammini, ti portano gli altri. I tavolini bassi delle strette stradine laterali non hanno più spazio, tra çay, birra e tavla. Ci sono ore in cui vedi talmente tante facce che credi di essere al centro di qualcosa di grosso, e tutti lo stiamo aspettando, lo leggi negli occhi, sta per succedere. Ma poi la ruota continua a girare, la gente cambia e la folla resta, i musici non cessano di lamentare assenze o cantare eroi, i soldi volano spiegazzati da tasche a tasche, l’acqua ancora bolle per altri çay, e puoi vedere ingozzarsi di carne modelle seminude e donne velate. E’ una strada lunga Istiklal, e in ogni punto è un microcosmo permanente: ci sono i venditori di biglietti della lotteria, il lotto turco, accanto a chi abbrustolisce pannocchie e smercia ciambelle, lì una banca, due metri più in là un ristorante che mostra chili di carne sanguinolenta per la gioia degli avventori. Le esistenze così diverse che si incrociano nel passeggio, puoi vederle filare come linee colorate, ognuno seguendo il suo percorso, guidato dalla sua fede, sacra o profana. Certe facce non passano inosservate, e non si tratta di bellezza. Dalla luce negli occhi riconosci lo scaltro borseggiatore che fiuta i passanti, ma può solo immaginare il suo bottino. Ci sono sbirri ogni cento metri, guardinghi e severi, a vegliare sugli ignari turisti ubriachi d'acquisti. I ladruncoli sai che non hanno fatto molta strada, le loro case sono nei paraggi, ma nessuno va a trovarli. Duecento metri, ecco tutto, e ti ritrovi in un altro mondo. Basta prendere una delle stradine laterali a destra se vieni da Taxim square, e dopo un dedalo di viuzze, vedi un'insolita scena. Panni stesi ad asciugare su fili tesi tra due palazzi, manco fossi a Forcella, segno evidente della presenza di zingari e di altre etnie, altre abitudini. Tarlabasi, via del popolo degli abissi che vive in piena luce.
Scorre parallela ad Istiklal ma sembra la sua sorella maledetta. Antiche case ottomane, ormai cadenti, affacciano su un formicaio lurido e malfamato, dove senti altre lingue, vedi altre facce. Anche qui è un centro di piccola e grande economia, ma di tipo diverso. Niente marche, molte marchette. E Droga e armi, se vuoi fare la festa a qualcuno qui hanno ciò che ti serve. Ma, naturalmente, vedi d'andarci con uno del posto e modella bene la tua faccia da cattivo o preparati a sorridere a scalmanati ragazzini, che tra un pallone e una gomma da masticare sono attratti dai, rari, nuovi venuti. Quello che c'è sotto lo vedi solo se sei pronto a riconoscerlo, senza trovare infamità dove è invece solo povertà, ma seguendo la scia di scambi e passaggi tra i veri padroni, confusi nel quartiere. C'è una variegata umanità a Tarlabasi, qui si sono rifugiate molte famiglie curde, specialmente dopo la tremenda offensiva dei primi anni novanta dell’esercito turco nell’est, quando interi villaggi furono distrutti. Ci sono i Roma, gli zingari, da così tanto tempo che hanno dimenticato da dove sono partiti. E armeni e greci, i vecchi abitanti del quartiere, ormai in minoranza, dopo che il grosso ha abbandonato il paese durante i pogrom turchi dei primi del novecento. Anche oggi la disgraziata umanità che giunge a Istanbul, passa per Tarlabasi. E c’è sempre posto, tra le case abbandonate e i negozi chiusi, in attesa di nuovi abitanti. Cammini e ti domandi come sia possibile vedere Istiklal sempre linda nonostante la densità di gente e relativi rifiuti, mentre a Tarlabasi la mondezza ammuffisce per giorni. Perchè qui non passano che una volta al mese i netturbini? E perchè i lavori di ristrutturazione l'ultima volta sono stati fatti quando la Turchia era un sultanato? Le fogne a cielo aperto sono un tanfo difficile con cui convivere. In realtà l’amministrazione ha intenzione di “ripulire” questa via, costruirci nuove case, e far sloggiare gli abusivi. In poche parole, renderla appetibile a compratori stranieri, per farne una gemella di Istiklal. Provare a eliminare qualche contraddizione può sembrare nobile, ma che ne sarà dei vecchi abitanti? Forse li manderanno nelle immense e anonime periferie di Istanbul, delle Secondigliano al cubo. Qualcuno mi dice che il degrado e la povertà di Tarlabasi sono voluti, per confondere le idee alla polizia, mescolando poveracci e affari loschi, visto che finchè saranno inestricabili ci sarà più libertà di movimento. Vai in un tugurio di sottoscala e troverai più denaro che all' AK bank. Ad ogni modo sarà impossibile cambiare alcunché fino a quando le migliori puttane di Istanbul saranno a Tarlabasi. Capita che ci passi di lì. Gli amici turchi dicono che c’è solo merda, ma io vedo spostarsi soldi al di là del fetore. Qui c’è il lato oscuro di vetrine scintillanti e notti brave con donne mozzafiato, qui si nascondono i ricercati che hanno rischiato troppo e qui nascono futuri boss e assassini, o ci vengono a completare la formazione. I due lati dell’apparenza, l’uno benestante e l’altro criminale, sono legati stretti come un nodo di tortura. Le due strade parallele, Istiklal e Tarlabasi, si incontrano in un punto, oltre la superficiale differenza. Sotto la merda c’è oro, per qualcuno. Un’altra storia da scavare, l’ennesima in questo mondo che ne contiene altri mille.
Bellissimo !!!
RispondiEliminaVai così..
Inutile negare la nostalgia....perdersi nei vortici di vite di Istanbul dove non esistono uniche verità, ma solo continue scoperte. Che voglia! Mondi che convivono e crescono, figli della stessa storia.
RispondiEliminaOttimo inizio in presa diretta, ora fa attenzione e rifletti sempre due volte prima di scrivere, gli stereotipi non chiedono che essere alimentati, specialmente quando aumenta la distanza!
In bocca al lupo, ora che il tuo viaggio sta per cominciare davvero, il motore è stato rodato.
Gorusuruz Arkada§im !
mehraba, totò.
RispondiEliminase tutto tamam anzi cok guzel, teshekkurler per il link, in bocca al lupo ed a presto. gule gule. iano.
a ti sta arricriannu
RispondiEliminaTarlabasi ti colpisce davvero..ci ho passato una settimana in un appartamento della zona..è tutto variegato..poveri,delinquenti ed artisti..a presto
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